UN DESTINO ROSSO BARBERA (seconda parte)
Prese dalla tasca un foglietto spiegazzato che da qualche giorno portava sempre con sé.
C’era scritto: “questo è il mio primo haiku: non cercare più. Tutto quel che serve, è ciò che già hai.”.
Lo leggeva tante volte. Prima lentamente per comprendere il significato di ogni parola. Poi più veloce come un mantra, per riascoltare il suono di quei versi, per assaporarne ogni sillaba.
Lo faceva star bene quel foglio che aveva trovato proprio dietro la chiesa della Madonna delle Grazie, domenica pomeriggio, mentre vagava, come al solito, indeciso se avvicinarsi alla casa dove abitava Margherita.
Quando aveva letto per la prima volta il biglietto, scritto con una calligrafia femminile arrotondata ma decisa, aveva pensato subito ad un messaggio divinatorio: quello era stato scritto per lui, per farlo desistere da un’idea che si era fatta spazio piano piano nella sua testa fino a diventare l’unico pensiero delle sue giornate.
Però c’era quella parola misteriosa – haiku – che lui non conosceva e che gli sembrava appartenere al linguaggio misteriosi degli esseri dotati di quelle capacità straordinarie di cui sua madre Ada raccontava quando era più piccolo.
Quella domenica non si spinse oltre. Mise il foglio nella tasca dei pantaloni e ritornò a casa, tastando ogni tanto per esser certo di non perderlo.
(continua)